Notizie del 6/2021
“Solo tredici chilometri” Romanzo | posted: 27/6/2021 at 17:39:15 |
di Giovanni Accardo e Mauro De Pascalis Edizioni alphabeta Verlag Solo tredici chilometri separano il luogo in cui abita la vittima da quello in cui vive l’imputato. Una distanza che attraversa tutto il romanzo, tutti i vagoni del processo che vi transita, con binari tracciati e immaginari, con stazioni magicamente acquerellate e mete ansiosamente sospese. Lo spazio e il tempo vagano fra le righe, quasi che senza il loro pulsare il volume si dileguerebbe. Euclide ci aveva giurato che lo spazio è beatamente piano, poi è sbucato Einstein con le sue curve sofferte, i dardi sferici, le parabole pagane. Rettilinei o arcuati, può l’umanità ripudiarli? E l’universo? Per noi esseri umani superfici e istanti sono indispensabili! Forse per le galassie no: materia e antimateria non cogitano, non li percepiscono… Forse li abbiamo ideati noi per agevolare i nostri cammini… o forse esistono già, ma sono disciplinati e utilizzati da chi, come noi, ha le capacità appropriate. Tredici chilometri! Quanto spazio occupano? e quanto tempo? L’asfalto, la scorciatoia, la ferrovia non lo sanno. I protagonisti sì! Chissà quante volte ci ha pianto sopra Johanna e riso prima di essere strangolata… e Martin prima di essere incatenato… e Marco prima di assumerne la difensa… “Ero... avvocato (da) poco meno di tre anni… Le interminabili attese (il tempo) prima di ogni sentenza… giustificavano i lunghi anni di università, davano senso a ciascun articolo e comma mandati a memoria” (pag. 10). Debutta un tragedia serrata, coinvolgente, progressiva, impaziente, in una mietitura chiara, comprensibile anche sulle questioni tecniche, avvincente, mai sazia, sempre sollecita con assaggi stuzzicanti forieri di pietanze soavemente gustose… pagina dopo foglio, paragrafo dopo capitolo, evento dopo brano… indagine dopo inchiesta, carabiniere dopo poliziotto, aula dopo sbarre, giudice dopo pubblico ministero… individui, comunità, sentimenti, ideali… Ma “il pomeriggio di nebbia rendeva tutto piuttosto indistinto… (p. 7) mille pensieri, e tutti confusi...” (p. 8). Si agita il caos… un’altra componente del tutto… Fin dalle origini interpretiamo il mondo come un organismo unitario, con regole logiche, congruenti, in cui vige l’armonia e tutto ha un fine. Rifiutiamo disordine, incoerenza, stravaganze, follie, per il timore di smarrire il nostro profilattico, il nostro salvifico significato. Lo stesso processo penale, personaggio principale della nostra narrazione, ha un perimetro ben delineato, con normative, metodiche, prassi stereotipate, grige, monotone, uniformi. Ne deriva una interezza inevitabile, con una serie di momenti che rappresentano il risultato dei precedenti e il presupposto dei successivi. Ma il pericolo è la finzione, la commedia, il dramma… l’asfissia della volontà, della creatività, del talento… dello spazio e del tempo… l’assenza! “Preziosa e fragile Instabile e precaria… E non si ferma mai, non si riposa mai Ha mille rughe ma è sempre giovane Ha cicatrici qua, ferite aperte là… Viva la libertà” (Jovanotti). Ma dal massimo esponente di questa concezione non solo processuale, Hegel, si dissocia il dadaismo che propone l’irragionevole, la confusione, la provocazione, l’assurdo. Nietzsche concorda, ma aggiunge che, pur essendo le nostre biografie caos, le reputiamo diligentemente sequenziali, divinamente automatiche, inconsciamente robotiche: in sostanza ci auto-inganniamo per rassicurarci, per essere sereni. E se anche il libro fosse un raggiro? se anche il processo fosse uno strumento per auto-assolverci? Nella babele giudiziaria, però, qualche certezza spazio-temporale c’è: “Johanna Pichler, diciannove anni, residente a Sillian… a solo tredici chilometri da San Candido (lo spazio)… era solita spostarsi in autostop… l’orologio che portava al polso era fermo alle 3.55” (p. 21) (il tempo). “Ad accusare Martin… c’erano i tabulati telefonici” (p. 22) (la fibra che incenerisce spazio e tempo). Marco ha un colloquio in prigione con Martin: “Gli feci domande sia da avvocato sia da pubblico ministero; dovevo cogliere ogni contraddizione, ma anche ogni debolezza… non potei risparmiargli domande tendenziose o circolari: partivo da una sua asserzione, arrivavo a una conclusione, e da quella ritornavo al punto di partenza, ma per vie diverse” (35). Marco/Mauro è un sottile ed ingegnoso azzeccagarbugli! Arriva l’interrogatorio del pm: “Provai la medesima sensazione di quando… dovevo sostenere un esame… una paura indistinta (il caos) quanto pervasiva… (41). Mi vennero in mente gli allenamenti di calcio… e il mister che… ci invitava a sciogliere i muscoli. Sciogliere, sciogliere, mi dissi” (52). Sono diffusi e apprezzabili gli esercizi psicanalitici, per delizia non ipnotici. Terminato l’”esame” Marco si dirige a casa ma: “… sbagliai strada. Mi ritrovai sperduto tra nebbiosi e anonimi paesi veneti”. C’è una penetrante propensione espressiva che dipinge olio su tela i meeting con il paesaggio… ed il caos. Marco ha una virtù impagabile, l’umiltà, e quindi chiede l’ausilio dell’avv.-prof., “persona stimata da giudici e colleghi per la sua preparazione… la sua arte oratoria… la correttezza dentro e fuori le aule” (60). Se identifico Mauro in Marco, Giovanni non può che essere l’avv.-prof.. Il tempo… può essere anche il clima! “L’aria era molto fredda e profumava di resine e legna bruciata; sulle cime brillava la neve (62) (un altro meeting). Il viaggio fu accompagnato dai Concerti grossi di Händel. La musica classica, oltre a rilassarmi, era il sottofondo più adatto a rielaborare ogni elemento” (69). Melodie e diritto, canzoni e Costituzione, giochi e legalità: l’autostrada è manifestamente spalancata! Ed ecco sul proscenio il tenace e incalzante tabacco arrotolato: “Il fumo mi scioglieva la stanchezza e conciliava l’attesa con lo sforzo di concentrazione” (68). Questa volta si palesa qualche schizzo psichiatrico. “Con tutta quella neve il piccolo centro di Sillian sembrava incantevole… la chiesa gotica... Era illuminata e la neve… punteggiava i riflessi di luce aranciata” (106). “Raccolsi un sasso… Non so quanto tempo… sia rimasto sulla tomba di Johanna, eppure a quel sasso rivolsi spesso il mio pensiero…” (108). Ancora una volta gli autori risolvono liricamente la simbiosi fra natura, emozioni… e valori. Ed infatti fa capolino: “Chi fa l’avvocato… non può che stare dalla parte della giustizia e della verità” (107). La verità! Per qualcuno è parziale, per altri assoluta… A me l’hanno insegnata ragazze e ragazzi. Da magistrato sfoggiavo erudite lezioni, ma mi ha maturato la loro abilità straordinaria di indurre interlocutrici ed interlocutori a rivisitare il proprio sé, tutti i giorni, a marciare, correre, saltare, ad assimilare che ogni convinzione può essere errata. Sì, mi hanno trasmesso l’innocenza dell’indefinito: chi è sicuro di sapere forse si allontana dalla verità, chi insegue il dubbio le si avvicina. Grazie a loro ho rinnegato il vuoto itinerario dell’ipocrisia per approdare all’assolato mistero della spontaneità e ho cancellato l’inclinazione a diventare falso per il pudore di essere vero. Le pulsioni sono incontenibili: “Ero rimasto molto legato ai miei anni universitari… a Pisa… densi di sogni… ero stato tra gli organizzatori di un incontro col giudice Antonino Caponnetto… avevo fatto parte di un gruppo… che promuoveva i valori antifascisti della Costituzione” (122). Fu proprio a Pisa che conobbi Mauro. Mi avevano ospitato per parlare della massoneria e della loggia P2, poi delle mafie e ancora della corruzione... Si annodò un filo affettivo corroborato da studentesse, studenti e docenti, in particolare Sara Pugliatti e Damiano Richichi, splendide figure di cambiamento. Pisa mi è cara anche perché è stata il mio ateneo: sdraiato sull’erba dei Miracoli, imparavo ad imparare! Assaporo con malinconia la citazione di Nino! Nonostante il legame immenso con mio padre, se avessi potuto, avrei scelto lui: per la sua spossatezza che si trasformava in dolce ardore appena entrava in un edificio scolastico, per la predilezione mite che mi donava, per la scommessa che fece accogliendomi tra le braccia senza conoscermi. Eravamo inseparabili: gli sussurravo quel che per timidezza non ho mai detto a mio padre: “Ti voglio bene!”. Ora germoglia la passione: “… i litigi con Francesca… era calato il grande gelo… mi rimproverava di avere in testa soltanto il lavoro… capii che c’era un solo modo… Le domandai a bruciapelo se voleva sposarmi (193)… scegliemmo una chiesetta sotto lo Sciliar” (194). Intanto inizia il dibattimento davanti alla corte d’assise. “C’era qualcosa che m’inquietava… inafferrabile… che non mi faceva mai tirare il fiato fino in fondo. Sentivo il respiro morirmi in gola… (264) “Volevo spegnere i miei pensieri” (317). “Eppure Martin, per dirla col Pirandello del Berretto a sonagli, non ha fatto altro che gridare in faccia a tutti la verità. Ma nessuno gli ha creduto e tutti lo hanno preso per pazzo… parafrasando Pirandello” (345). Secondo alcuni esperti in greco antico “paizo” significa giocare e potrebbe essere la genesi della parola pazzo. Se è pazzo chi gioca, chi è allegro, anche la Costituzione, cosi ammirata da Marco/Mauro, è pazza! Ma è pazza anche perché ama i pazzi, li rispetta, li tutela, perché sono soggetti deboli. La Costituzione è con i deboli! Il drammaturgo siculo invece accosta la pazzia alla verità, pedinata anche dall’avv.-prof/Giovanni: “Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza!”. La tesi è un atto d’accusa contro la società perbenista, che in fondo ha partorito anche il processo, quello dei codici e quello qui rievocato. “Nessuno sa, se viene o se ne va… La verità fa male… arriva silenziosa… disturba sempre un po’ qualcosa…” (Vasco Rossi). Ed ecco l’arringa: “Oggi, signor presidente, signor giudice a latere e signori giudici popolari, voi avete la possibilità di far aderire completamente la giustizia alla realtà assolvendo Martin Scherer” (346). Mi sono sempre impegnato affinché la relatività processuale coincidesse con l’oggettività effettiva, pur nella consapevolezza che spesso le prove dell’innocenza o della colpevolezza non giungono negli atti, unica fonte però del verdetto. “(la) chiesa dei Domenicani… mi ricordai che… adolescente… ero venuto… (a) messa… segretamente attratto da una ragazzina… con la quale ci scambiavamo fievoli sorrisi” (347). “… (il) mio destino professionale avrebbe preso la traiettoria che auspicavo, però avevo perduto Francesca… Ma anche questo mi sembrava rientrasse nella partita dell’esistenza: perdere qualcosa per conquistarne un’altra. Ne era valsa la pena?” (351). Fame d’amore, sete di giustizia! E la legalità? Le leggi attuali non sono giuste, ma solo la massima espressione di giustizia che abbiamo realizzato in Italia nel 2021. I giudici, i poliziotti, le autorità applicano le leggi non la giustizia, possono dunque commettere delle ingiustizie. Sta a noi conservare le leggi giuste ed eliminare quelle ingiuste. Ma nella nostra pregevole opera letteraria è stata fatta giustizia? Senza interrogativi è invece il genuino impulso di Martin: “Vorrei andare sulla tomba di Johanna, mi porteresti?”. “Ma certo – risposi -. Sono solo tredici chilometri” (352).
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A studentesse e studenti di Corsico (MI) | posted: 23/6/2021 at 16:03:01 |
Care ragazze e cari ragazzi, nello sfogliare il vostro sito e la ricostruzione della relazione di Nino Caponnetto del 1994 ho provato gioia e sofferenza. Ho ascoltato la sua voce come se fosse accanto a me, ho ammirato il vostro lavoro “La mafia tra noi”, audace ed onesto: non è facile ammettere la presenza della ‘ndrangheta nella propria terra. Con tutto l’affetto smisurato per mio padre, se avessi potuto esprimermi, avrei scelto Nino: per la sua debolezza fisica che si trasforma in dolce ardore appena entra in un edificio scolastico, per l’amore mite che mi dona, per la scommessa che ha fatto accogliendomi tra le braccia senza conoscermi. Siamo inseparabili: gli sussurro quel che per timidezza non ho mai detto a mio padre: “Ti voglio bene!”. Dialoghiamo tutti i giorni… ma non posso negare la tristezza… ed il desiderarlo nella vita del tempo e dello spazio… che gli ha strappato Giovanni e Paolo, ma non gli impedisce di cercarli nei volti colorati di futuro che dipingono le aule… Mi riscaldano i vostri svaghi di ruolo, il brainstorming per comunicare le opinioni, le intuizioni, i propositi… le fantasie… che vi danzano fra i capelli… e la concretezza, oserei dire scientifica, del focus sui beni confiscati alle mafie. Che poesia la vostra frase! “… un cambiamento c’è stato anche nell’atteggiamento di ciascuno di noi nell’affrontare la questione, che è stata presa con più consapevolezza e anche con l’idea di mettersi in gioco, di mettere qualcosa di proprio nel lavoro… e l’emotività con cui… è stato fatto”. Ecco, è proprio questo il punto! Quando nel 1993 ho scritto la “Lettera ai giovani”, che avete ripreso, era appena un anno che interpretavo il mio volontariato girando le scuole di tutt’Italia per seguire Nino, assieme a Rita e Salvatore Borsellino, don Luigi Ciotti ed alcuni altri. Avevo delle certezze, impartivo lezioni, spronavo a tenere comportamenti esemplari… Non immaginavo che sarei stato io il maggiore beneficiario: incrociavo alunne ed alunni per aiutarle/i a fiorire ed invece sono stati loro a far sbocciare me. Voi giovani avete la capacità straordinaria di indurre interlocutrici ed interlocutori a rielaborare il proprio sé… tutti i giorni… a camminare, correre, saltare… a capire che le loro convinzioni possono essere errate: è questo il credo che bambine, bambini, adolescenti mi hanno rivelato. Ho appreso sul campo che la tolleranza è un concetto superato. Se accetto qualcuno, mi metto al di sopra di lui: “L’obiettività è la mia, però tollero te che la pensi in un modo diverso…”. Invece la parola chiave è rispetto, perché pone tutte/i sullo stesso piano! Non mi stanco mai di ripetere a genitori, insegnati e a tutte le persone adulte, che dobbiamo crescere insieme a voi, insegnando e imparando reciprocamente. Sì, mi avete trasmesso l’innocenza dell’indefinito: chi è sicuro di sapere forse si allontana dalla verità, chi rincorre il dubbio le si avvicina. Grazie a voi ho abbandonato il vuoto itinerario dell’ipocrisia per approdare all’assolato mistero della spontaneità e ho cancellato la propensione a diventare falso per il pudore di essere vero. La discreta fatica del pensare ha favorito l’intrigante affanno dell’agire e l’ambiguità della paura si è sublimata nella purezza del coraggio. Mi avete anche costretto a praticare l’uguaglianza delle donne anche nel parlare: nel 1993 mi rivolgevo ai giovani, oggi invoco ragazze e ragazzi, senza mai dimenticare che un cartone rifiutato nella discarica può sempre custodire disegni fanciulli. A Nino Una pioggia di mani canta il tuo nome sulla sabbia mentre preghi con la luna Un soffio di vento raccoglie le lacrime nel palmo Sorridi, ci porgi un sentiero prendi per mano un barbone In silenzio seguiamo un violino C’insegni a volare, anche fra gli spari Torre Annunziata, 19 maggio ’21 michi
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Carla Voltolina Pertini | posted: 14/6/2021 at 15:43:16 |
compie 100 anni il 14 giugno. È il grande amore del presidente della Repubblica Sandro Pertini. La conosco nel ’92. Mi telefona dopo aver letto “La toga strappata”, un mio volumetto appena pubblicato in cui manifesto la mia devozione per suo marito, purtroppo morto nel ’90. Mi onora della sua amicizia finché vive, il 6 dicembre 2005. Mi parla a telefono qualche giorno prima… con la voce ansimante. Ci passo spesso il pomeriggio o la serata a parlare dei valori costituzionali e del suo Sandro, del quale è ancora innamorata; anzi gli dedica ancora la vita dopo che è mancato. Pretende, nonostante la mia timidezza e ritrosia, che mi sieda sulla poltrona di Sandro. Mi mostra le sue foto giovanili: è una modella! Si confida e mi fa confidare. È la signora Carla a consigliarmi di sposare Maria, che vuole a casa sua tutte le volte che viene a trovarmi a Roma. Ha piacere di tornare alla Camera, la ospito nel Transatlantico, tante tanti si fermano ad omaggiarla. E a Nizza, dove ha un appartamentino minuscolo, comprato decenni prima con Sandro, si insinua rapida fra le stradine per presentarmi la “loro” Nizza, fatta di semplicità e piccole cose, di persone umili e lavoratrici, di negozietti antichi e accoglienti, non certo quella della Promenade des Anglais. Ma la loro casa è Fontana di Trevi… a volte mi chiede dolcemente di accompagnarla a cenare alla loro trattoria, al loro tavolo: il proprietario, in segno di ammirazione, ha adornato la parete accanto con una foto del presidente, sorridente e benevolo… a quel tavolo si respirano sentimenti e ideali…
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La parabola di Torre | posted: 6/6/2021 at 14:27:31 |
Pubblicato su Metropolis del 2-6-21 Dalla proclamazione della Repubblica Torre Annunziata, che la volle, si è imbattuta in polveri ed altari. Segue perfettamente l’intuizione di Giambattista Vico dei corsi e ricorsi, in una spirale che sale: ogni periodo negativo è migliore del precedente, e così ogni periodo positivo. Ed infatti non può negarsi che oggi si vive meglio di settantacinque anni fa. Si ricostruisce egregiamente dalle macerie belliche e dello scoppio dei vagoni ferroviari, sviluppando un turismo di qualità e di massa, con l’apogeo delle splendide stagioni del Lido Azzurro. Con la camorra in sonno. Ma miseria e carenze igieniche e sanitarie allignano ancora ed esplodono nel colera del 1973, nell’inquinamento marino, nella crisi degli stabilimenti balneari. Neanche il tempo di risollevarsi che subisce le scosse telluriche del 1980 ed il ben più tragico terremoto criminale, che sui finanziamenti per la ricostruzione edifica il suo dominio in tutti i settori della vita pubblica, tanto da provocare all’inizio degli anni ‘90 il commissariamento del comune per condizionamenti mafiosi. Dopo tre anni di terapia prefettizia, si torna al voto con una nuova classe politica e si progetta il futuro. Le guerre fra clan non impediscono agli amministratori di procedere. Fino a quando l’accumularsi di episodi deplorevoli impone la commissione di accesso inviata dal prefetto nel 2013. Le conseguenze non sono traumatiche, ma convincono la giunta ad aprire all’associazionismo e ad un fitto percorso di legalità, che comprende fra l’altro: Road Map Anticamorra, Road Map Anticorruzione, Osservatorio per la Legalità, procedura democratica e trasparente nelle assunzioni della società che gestisce l’igiene urbana, OplontiAntiRacketAntiUsura, Codice Etico per candidate e candidati al Consiglio Comunale, intitolazione “Via Vittime Innocenti di camorra”; elezioni del Consiglio Comunale e Sindaco dell’Adolescenza, della Preadolescenza e dell’Infanzia. La quiete è drasticamente interrotta da arresti per corruzione e dall’omicidio il 19 aprile scorso di Maurizio Cerrato, che riporta alla mente le vittime innocenti di camorra, che hanno scandito la storia di Torre: Rosa Visone e Luigi D’alessio, uccisi l’8 gennaio 1982; Luigi Cafiero, il 21 aprile 1982; Francesco Fabbrizzi, il 26 agosto 1984; Giancarlo Siani, il 23 settembre 1985; Luigi Staiano, il 4 luglio 1986; Costantino Laudicino, il 3 febbraio 1992; Andrea Marchese, il 17 maggio 1995; Raffaele Pastore, il 23 novembre 1996; Matilde Sorrentino, il 26 marzo 2004; Giuseppe Veropalumbo, il 31 dicembre 2007. Si può notare che lo scempio si era concluso nel 2007. Ora si aggiunge Cerrato. Va evidenziato che il ridimensionamento camorristico c’è e deriva anche dalla istituzione del tribunale e del gruppo carabinieri. Non ci si può però illudere che realtà corruttive e delinquenziali siano sconfitte in breve tempo, mentre si può sperare in un cambiamento graduale, anche lento, ma costante. Il motore devono essere giovani, ragazze, ragazzi, che non sono la periferia della collettività, ma il fulcro dell’agire di noi adulti, spesso conviti di essere gli unici detentori del sapere. Ed invece dovremmo privilegiare la loro spontaneità, la mente, il cuore, le emozioni, quello che veramente sentono. Torre avrebbe così una comunità giovanile pensante, stimolata e stimolante, che si troverebbe a proprio agio in quella adulta, perché si sentirebbe al centro del percorso, del “presente”, non di un futuro indefinito ed incerto, in cui ascoltare, ascoltarsi, capire, capirsi, discutere insieme, decidere insieme, costruire insieme. Torre diventerebbe il laboratorio sperimentale di una società diversa, partecipativa, coinvolgente, ove tutte le età sarebbero democraticamente rappresentate. I figli potrebbero trovare analisi e soluzioni più efficaci di quelle dei padri, imponendo loro di essere migliori.
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